SAGA
de "Le Raviole al vin”
Belvedere Langhe - Breve storia romanzata (ma non troppo) di personaggi, famiglie e gruppi relativi alla Corale o Complesso, di cui nel titolo. E' l'accezione più semplice del nome "SAGA", che ci viene dal Nord, e indicava i poemi narrativi antichi; poi, per estensione, un componimento letterario mitologico o eroico: significato ben lontano da questo scritto che non ha pretese!
CON UN ACUTO SI PUÒ' SPEZZARE UN BICCHIERE? C'è chi lo afferma, fra tenori e soprani.
E spegnere una lampada, seppure a petrolio, con canti a tutta voce? Mi
trovavo ad ascoltare e gustare canzoni a tantissimi decibel eseguite da parenti
in vena d'allegria e di festa paesana. Una stanzetta illuminata al massimo, per
quei tempi di mancanza di elettricità.
Pendeva dal rozzo soffitto un bellissimo "chinché", lampada a
petrolio, con tanto di vetro salvafiamma e una bianchissima cappa in porcellana
che serviva da diffusore della luce. Lo si accendeva, il chinché, soltanto in
occasione delle feste maggiori, al posto del lumino, pur esso a petrolio, con
una fiammella da risparmio! Attorno al tavolo almeno quattro cantori, prosperosi
ed euforici, forse per precedenti libagioni di circostanza, sfornavano una
canzone popolare dopo l'altra, appassionatamente eseguita, ed ascoltata da quei
pochi che riempivano la stanzetta.
"Proviamo a spegnere il chinché con una canzone di
quelle...!?" Lo propose lo zio Serafino, che teneva sulle ginocchia Luigi
di pochi anni, a cui lo aveva promesso durante il giorno, a patto che non si
addormentasse, pur se si sarebbe fatto tardi la sera. Era una scommessa: essi
ben lo sapevano, perché era già successo altre volte. Scelsero una
canzone"di quelle", da cantare con quanto fiato avevano nei polmoni e
quanta voce in gola.
Non durò a lungo l'attesa: sembrarono tremare i muri e sobbalzare il tavolo; la
fiamma iniziò a tremolare e farsi tenue... con un piccolo tentennamento si
staccò dallo stoppino e scomparve, svanendo verso l'alto nel vetro protettivo.
Nel buio si arrestò il canto fragoroso e... tutti scoppiarono in una rumorosa
risata di. soddisfazione: era riuscito l'esperimento ancora una volta! I quattro
fusti, pezzi da novanta o cento ed oltre, ce l'avevano fatta! Tosto riacceso il
chinché, lo zio guardò gli occhi ancora strabiliati di Luigi, che non
accennava minimamente di avere sonno, ma esprimeva con essi allo zio il grazie
di avergli mantenuta promessa; ma poi si afflosciò fra le sue braccia... Quanto
a potenza e a decibel non sarà poi una novità quella degli anni 60 o giù di lì
la canzone urlata! Sarà novità per la mancanza di melodiosità e di
orecchiabilità; ed il nuovo consisterà nell'urlarla gracchiando o gracidando,
con quelle voci volutamente roche fino a sembrare, in certi casi, delle grattuge
stridenti o fondi di padelle violentemente raschiate...
GLI ABBA'
Quei simpaticoni "della lampada a spegnere" nell'episodio che
succedeva nell'immediato dopo guerra (la seconda!), erano discendenti di un
nucleo impiantato qui, nella frazione Piangarombo di Belvedere, cascina But,
zona Feia; provenivano dagli Abbà
di Farigliano. Nonno Carlo Barroero aveva comprato quel pugno di terra con
rustico, dicono costruito da un certo Botto (But) che aveva un braccio amputato.
Nonno Carlo volle dare ad alcuno dei 5 figli e 2 figlie un "posto al
sole", cioè dare espansione (sic!) alla famiglia numerosa, di cui uno
emigrò poi in America (California). Ho detto: venivano dagli Abbà.
Abbà: non
è inverosimile che il luogo e il nome relativo sia lo strascico di una moda
ormai quasi dappertutto tramontata. Scrive Euclide Milano: "L'Abbà era un
componente del consiglio particolare che reggeva il comune per elezione annuale
e che provvedeva alle feste sacre e profane, a mantenere l'ordine durante i
festeggiamenti, a organizzare il carnevale; disponeva di un suo corpo di guardia
e godeva di grossi privilegi, anche quello di essere portato "sopra di una
cadrega maestosa ben ornata", ed aveva persino il potere di giudice: poteri
quindi tutt'altro che modesti".
Confermava lo studioso Giuseppe Pola-Falletti: "Le Abbadie (l'insieme degli Abbà) regolavano le feste, organizzando balli, banchetti, mascherate, specialmente di carnevale, il calendimaggio, la festa patronale, e non di rado sacre rappresentazioni...".
Ebbero una loro storia (dal secolo XIV in poi) fino a diventare solo più relitti di folklore. Sorge legittimo un interrogativo: il nome del luogo Abbà sarà stato dato proprio perché vi abitavano persone elette Abbà nel comune di Farigliano? Stanti le prerogative, le attitudini e le capacità organizzative anche dei loro discendenti, che sembrano averle nel sangue, magari per inconscia eredità è legittimo rispondere affermativamente! Lo constateremo nelle pagine seguenti: i fatti non ci smentiranno.
Già
alla fine del secolo XIX agisce in Piangarombo un gruppo allegro e d'inventiva,
che si da da fare ( e se ne diletta) per elevare il livello delle feste,
cantando e suonando. Sì, suonando una fisarmonica (immancabile), un clarino (più
tardi il saxofono), due o tré ottoni, e poi... per colmo, magari una serie di
strumenti strani, derivati da barattoli, tubi da stufa, bastoni arricchiti di
ritagli di lattine da soffregare per creare un frinio riempitivo, o pentole
fuori uso come batterie, coperchi come piatti, un putipù e tante altre
invenzioni proprie del cervello fino come s'addice al contadino. Erano proprio
contadini i componenti di quella che si può chiamare "banda”, anche se
rudimentale, ma caratteristica e piena d'attrattiva: erano estratti dalle
famiglie Agosto, Barroero, Raviola, Albarello, Sandrone, Spinardi... La voglia
di cantare era nel sangue, istintiva dai piccoli agli anziani, ed ereditaria,
tanto che la mamma, circa 20 anni dopo, diceva: "Non avete ancora aperto
gli occhi, la mattina, che già avete la bocca aperta per cantare!". Ce lo
diceva quasi gongolandone, perché piaceva anche a lei. E si cantava in casa,
per la strada, singoli o in coppia o in gruppo, al pascolo o al lavoro, nelle
vigne e nei campi.
Ad una canzone su un versante di collina rispondeva quella di un altro
versante, in concorrenza o in concomitanza, in accordi melodiosi che i tempi
moderni non se li sognano neppure.
E, quando ti giungeva all'orecchio quel canto, non
c'era che fermarsi o sedersi ad ascoltare. Canti ad una o più voci nel
repertorio di canzoni antiche o a sfoggiare le novità di quelle appena uscite,
magari per opera del menestrello di fiera, quasi a dirlo cantando di essere
arrivati primi.
Ricordo con nostalgia quei canti che venivano dai
Bonino, dai Barbotto, dai Barroero, che erano i "nostrani", o
addirittura da Natal o dalla famiglia Galliano (i Muciot), e persino dalle
ragazze Manera della Lo vera, dette "le Vallette" perché abitavano a
cascina Valèt.
Forse la collina è più adatta a fare spiccare i
canti, quando le valli sembrano intensificarli come in risonanza, migliorandoli
in qualità ed intensità. Si cantava mentre si potava, si legavano e si
mondavano le viti; gli uomini persino quando avevano la pompa irroratrice a
zaino, anche se pesava più di 40 chili, come quella del fratello Carlo, che
evitava così la troppa frequenza dei rifornimenti nelle vigne lunghe ed
impervie.
Forse quei canti erano un modo di alleviare la fatica,
come (si dice) il canto marziale dei soldati o addirittura la banda per reggere
meglio alla marcia.
O erano soprattutto espressione genuina della voglia
di cantare per esprimere la gran voglia di vivere, e di vivere in serenità.
Oggi non si canta più!
La vita, se pur agiata, ci abbruttisce maggiormente,
quasi a farci diventare dei robot che guidano altre macchine: macchine che, con
il loro fragore, sminuiscono la presenza dell'uomo: così l'uomo si fa sempre più
solo!
RICORDI DI FAMIGLIA
Fluttuano nella mente i ricordi.
Il papà, forse per liberarsi da eccessive preoccupazioni di famiglia o
per la gioia di averci assieme, circondato da noi piccolini che aveva voluto con
sé per insegnarci a lavorare, sbottava ogni tanto in una allegra
"zufolata", creando abilmente tra lingua e labbra uno strumento
fittizio, donde uscivano melodie che ci incantavano; oppure si esibiva (senza
vanagloria) con qualche canzone che talvolta sapeva di Bibbia, con tanto di nomi
da quella estrapolati: Aramei, Gebusei, Amorrei, Asmonei, Gergesei... e tutti
gli Ebrei.
Talora erano anche reminescenze sue dai canti di
Chiesa o di Confraternita, che frequentava per "cantarvi gli Uffizi":
segnali evidenti che c'era la tendenza o lo scopo, allora come adesso, eredi
degli "Abbà", anche nel complesso che celebriamo dal titolo, di non
cantare a senso unico, ma di abbinare il sacro al profano.
Ad alimentare i ricordi giovano anche i documenti, frutti non di sola fantasia, ma mezzi che li affermano e li avvalorano. Un album
dall'insolito spessore, che comincia in data 1914 ed è a firma di Barroero
Gualtiero, allora diciassettenne, porta scritte a mano le canzoni in voga allora
e quelle che le seguirono, anche lunghissime, specialmente se erano quelle
proposte sulle piazze, nelle fiere, dai menestrelli o cantastorie di turno: quei
cantori ambulanti che tanto seguito ebbero almeno fino al dopoguerra 1945.
Canzoni orecchiabili, canticchiate un po' da tutti
facilmente,
quali la Pìcita
di Farigliano, il bandito vestito da frate a Velletri, il medico assassino del
Pian di Bologna... insieme a Vipera, Signorinella, Rose Rosse, Creola, Povera
Giulia, Capinera, Cara piccina, Canti nuovi, Cosetta, Miniera..., le canzoni di
guerra (1915-18) Montenero, Montegrappa, Piave, La tradotta...
Raccolta preziosa, custodita come una reliquia e non solo per affetto da
eredità. La documentazione e la ricerca prevalsero sempre nel corso degli anni,
allora come adesso, per soddisfare la passione del canto e della musica, e non
senza sacrifici di tempo e denaro. Così nel succedersi delle generazioni.
CARLO, IL MENESTRELLO
Verso la fine degli anni '20, il fratello Carlo, non
ancora ventenne, riusciva a comprarsi una fisarmonica ('armoni' la chiamavano in
gergo, 'fisa' la dicevano i più raffinati). Gli era costata tanta fatica, con
lavoro strapazzante a conto terzi, volontario, per non gravare sull'economia di
casa.
Non conosceva le note musicali: cantò e suonò "ad orecchio";
s'impegnò poi a ricevere lezioni, almeno per conoscere il pentagramma e le
varie tonalità, onde potè, più avanti, eseguire gli spartiti musicali che gli
mandavano alcune Ditte, che nell'indirizzo lo chiamavano "Maestro" ed
egli ci rideva su per la promozione gratuita.
Ed era contento di poter così allargare le sue
conoscenze delle canzoni nuove che uscivano a gittata dai vari Mascheroni,
Bixio, Cherubini, Redi, Di Lazzaro, D'Anzi, Rendine; pur non dimenticando mai
quelle popolari, ancora sempre cantate e suonate "ad orecchio" su
quella fisa che formò con lui un binomio inscindibile e lo rese presto come un
menestrello, stornellatore notissimo, da invitare ai "coscritti",
per le sagre campestri, nella defogliazione della meliga, nelle "levraje"
della falciatura, della mietitura o della vendemmia, per fare i proverbiali
"quattro salti sull'aia".
(Levraje era la festa che si celebrava, profana s'intende, al
compimento di qualche grosso lavoro, specialmente se fatto con le
"squadre", cioè con il concorso della gente.
Ne deriva il nome da "levr" = lepre,che figuratamente avrebbe
potuto trovarsi nascosta, alla fin fine, nell'ultimo angolino del campo in cui
s'era lavorato, e, abilmente cacciata, sarebbe poi servita per una cenetta in
allegria).
In poco tempo Carlo, senza volerlo, divenne un protagonista per la sua
abilità nel suono e nel canto; quasi un mito: Carlu d'But tutti lo conoscevano
nei dintorni. E se lo meritava per l'impegno che metteva in tale sua passione:
prove su prove, per lo più alla sera, dopo le fatiche del giorno, quando le
mani stanche e quei ditoni che a stento potevano selezionare il
"bottone" giusto (la fisa era "a bottoni") si destreggiavano
sullo strumento solito o su altri, come tromba, clarino o violino, che alternava
con il suo prediletto "armoni".
CORALE DI CHIESA
Quella sua voce melodiosa e possente, che sopravvanzava tutte e si
riconosceva per quel timbro caratteristico, divenne anche una componente nei
canti di Chiesa.
Non smentiva così il filone tradizionale, (come non lo smentirà il
figlio Luigi).
Ecco così prolungarsi la duplice rotaia di un unico binario, quello
musicale, che accrebbe sempre più la sua popolarità: quelle doti avute da
"Natura" e coltivate con tanta passione (e qui fu merito suo!) ne
fecero un elemento indispensabile nella composizione dei cori, sia profani che
sacri, cui dedicò buona parte di sé.
Si evidenziò forte in lui anche la natura propria degli "Abbà"
nella costituzione della Corale della Parrocchia di Belvedere Langhe, formata in
onore del M° Giovanni Gambetti che per un certo tempo vi aveva insegnato canti
sacri per il decoro delle funzioni religiose, secondo la nuova liturgia.
E' curioso il fatto che per un bei po' di tempo, stante l'apatia del
vecchio parroco (ognuno ha i suoi
gusti!), imparò ed insegnò, sulla fisa, in casa propria, quei mottetti e parti
liturgiche della Messa, da eseguire poi in Chiesa, nelle feste maggiori, se non
c'era il "veto"!
COMPLESSO
"RAVIOLE AL VIN"
Intanto, assieme a molti altri elementi (voci dispari), gli si affiancò
il figlio Luigi, già batterista - cantante di un piccolo complesso ormai
sciolto; ed entrambi divennero trainanti, trascinatori, per entusiasmo e per
voce, sulla duplice strada: erano i nuovi "Abbà" !
Alla Corale che cantava in Chiesa fu abbinato il
gruppo musicale vocale guidato dalla fisarmonica di Carlo (unico strumento) per
le prestazioni nelle sagre, nelle manifestazioni e spettacoli in allegria: ebbe
un nome caratteristico, di "Raviole al Vin". Un elemento del gruppo di
cognome Raviola, il più anziano, automaticamente e per il gusto di tanti, fu
scelto per quel nome, come per ricordare una delle tante ricette gastronomiche
che fu sempre in uso tra la gente langarola: ricetta povera, semplice come la
gente locale, ma gustosa e delizievole, come si augurarono dovesse risultare
ogni loro prestazione o spettacolo. Questi divennero presto frequenti e
richiesti a gran voce. Approdarono presto a Radio e Televisioni pubbliche e
private, che si accaparrarono il complesso frequentemente con applauditissimi
risultati.
Ma per questo vi rimando all'appendice. Il gruppo corale "Le Raviole
al Vin" è una emanazione importante della Associazione culturale “Il
Cerchio Magico” di Murazzano (Cn).
Non è un semplice gruppo canoro che ogni tanto si presta per esaltare le
feste; ma ha un intento che lo impegna da tempo nella ricerca di antiche canzoni
popolari, da riproporre magari con arrangiamenti e talora con ammodernamenti.
Su questa linea gli esordi della Corale proposero, in modo caratteristico
da subito la canzone "Moretto", che divenne presto il "cavallo di
battaglia", come si suoi dire, sempre richiestissimo ed applauditissimo,
insieme ad altri pezzi che nessun altro gruppo mai ha eseguito: "Tutta la
notte io penso", "La ballata del muratore"... "Castigliana"
e "Rosa di Spagna" che Carlo eseguiva immancabilmente da solista,
accompagnato dalla sua fisarmonica, serenate che non gli avrebbero perdonato di
omettere nelle sue prestazioni da "singolo", sono diventate anche le
canzoni de "Le Raviole al Vin", ora presentate coralmente, sempre
deliziose e bene accette.
Ho detto "coralmente" ma a più voci dispari, ove il tenore
esegue il suo spartito (anche se a memoria) spartito diverso dal contralto, per
esempio, o come il baritono diverso dal basso, con accordi o contrasti che si
risolvono in accordo.
Questo scrivo, e mi perdonerete l'osservazione e lo sfogo, perché voglio
dire che risulterà squallido il canto incapace di accordi: fossero magari in
trenta e tutti cantassero all'unisono, cioè ad un'unica voce, le canzoni
risulterebbero per niente melodiose. Purtroppo così cantano la maggior parte
dei giovani adesso, che non "sentono" la necessità di aggiungere alla
nota altrui una "terza", o una "sesta" o che io so, secondo
i casi. Ma chi può esserci che non "senta" un bei do-mi- sol-do, per
esempio?
DOPO CARLO
Gli anni (quasi 80), la fatica del canto, l'affanno per il timore di non
riuscire bene, avevano deciso Carlo a non far più parte del complesso (Dio sa
con quanto rammarico!); ma ciò non fermò le Raviole al Vin.
E sono ormai più di 2 anni che Dio lo ha trasbordato "all'altra
sponda" (aveva 81 anni), a quell'altra vita ove il figlio Luigi gli augura
di continuare a cantare, con la canzone che ha composto per lui subito dopo la
morte (Menestrello del Piemonte): "Ora in cielo canti tu... Canta pure a
voce piena; per gli amici fallo tu...".
Fu la spina dorsale di tutto l'organico musicale, specialmente negli
albori, a fine anni 70, quando ufficialmente fra le varie Corali piemontesi
prorompeva quella di Belvedere, "Le Raviole al Vin".
La sua dipartita creò scoramento e nostalgia; ma, si
sa, ogni vuoto che sembra incolmabile viene pian piano ricolmo.
E, quando, con la cooperazione volitiva ad ogni costo
di vari altri elementi, suo figlio Luigi tenne duro e, da spalla con una seconda
fisarmonica com'era, e con una voce che ricalca quella del padre,
assomigliandogli ma superandolo per maggiore estensione, decise di continuare,
le cose sembrano anche incentivarsi.
Vennero le registrazioni a cassette; e, come esecutori
di canzoni popolari, quali si definiscono e come tali vengono riconosciuti,
continuano ad impegnarsi nella ricerca tra gli archivi, fra vecchie stampe o
scritti o cassette di collezionisti, onde riscoprire quelle melodie che fecero
l'allegria della gente d'un tempo e che quella d'oggi riascolta, felicemente
rievocate e riemergenti in vesti nuove. Fioriscono così le nuove cassette e
qualcuna di esse contiene anche pezzi religiosi affiancati ai profani oppure è
esclusivamente dedita ai canti sacri, anch'essi apprezzati e richiesti, come ben
meritano. Questa è la singolarità, l'originalità de "Le Raviole al
Vin". Così non si smentisce, ancora una volta, tutto quel filone
caratteristico che ha guidato quelli che furono un po' le radici e, con il
tempo, il fusto dell'albero musicale che ora si espande rigoglioso con le sue
fronde, diffondendo simbolicamente ossigeno copioso per il respiro esilarante
della gente. Una particolarità notiamo nelle esibizioni del complesso, a
differenza degli altri: è che, pur avendo le cassette in dotazione,
continueranno a farle "in diretta", non in "playback", per
essere più genuini e a più intenso contatto con gli ascoltatori, da
intrattenere deliziandoli per di più con facezie e battute di spirito: Luigi sa
il fatto suo e dei suoi e ne è da tempo ben esperto.
Ciò richiede, è vero, maggior impegno ed attenzione; ma, se non altro,
non appariranno come dei "robot" messi là sul palco ad aprire
semplicemente la bocca.
Le registrazioni a cassette per "Le Raviole al Vin" serviranno
quasi soltanto a diletto dei simpatizzanti quando vorranno ascoltarsele a
piacimento.
COME UN CENTENARIO
Questo scritto è partito da lontano, per far capire meglio quello che è
successo nel corso degli anni e per convincerci del presente.
Molti aventi parte, magari non indifferente, in quanto è accaduto, non
sono stati nominati, è vero, ma ricordati in tutto l'insieme.
Prego quindi di non aversela a male: non è stato favoritismo gratuito di
aver parlato più direttamente e più frequentemente di alcuni, ma l'inevitabile
protagonismo di quelle persone che non esclude assolutamente i validi
collaboratori, cioè coloro che furono al loro fianco; ed il merito va a tutti
"in solidum" dicevano i latini. E a tutti quindi vogliamo attribuirlo.
Il 25 ottobre 1992 "Le Raviole al Vin" (lasciatemelo dire
almeno una volta in gergo: ‘R Raviore ar vin!) hanno celebrato una festa
commemorativa, quasi a ricordare un centenario, nel riconoscimento e nel ricordo
di tutti coloro che, nel corso del tempo, fin dalle radici ben lontane,
avviarono e contribuirono allo sviluppo lento, ma costante di quella che è
diventata questa loro magnifica creatura, la Corale.
La festa è cominciata in chiesa: anche la Corale ha un'anima, se gliela
si vuol concedere!
Le parti liturgiche, con Kyrie e Sanctus ancora in latino come ai vecchi
tempi (pur essi in sintonia con il centenario) e i vari mottetti opportunamente
scelti hanno fatto sì che ne uscisse un gioiello di Messa!
Troneggiava anche in chiesa il loro specifico stendardo.
Si volle anzitutto ringraziare Dio di aver guidato il corso degli eventi
favorevolmente, ed avere la partecipazione di tanti simpatizzanti e vecchi
elementi che ne fecero parte o vi ebbero qualche riferimento.
Ci piace aver la convinzione che tanti fra essi abbiano preso parte e
cantato dal Ciclo per renderne gloria a Dio. Il banchetto che ne seguì, alla
Trattoria del Peso in Belvedere Langhe, grazie alle prelibatezze (sofisticate
anche) proprie del Maestro di Scuola Alberghiera Ezio Schellino, che opera nella
Trattoria gestita con il fratello Mauro, chiuse la giornata, rallegrata da suoni
e canti fino a sera.
A conclusione vadano ai componenti la Corale e, in loro, a tutti quelli
che li precedettero nel centenario, i ringraziamenti per le ore liete donate
alla gente e gli auguri cordiali di una felice prosecuzione delle loro attività
nei due rami musicali (sacro e profano) e, con l'aiuto di Dio (uomo allegro il
Ciel l'aiuta) abbiano anch'essi tanta soddisfazione dalla vita, e poi tanta
ricompensa per aver "amato" il prossimo (la gente, vicina e lontana)
alla loro maniera: di tenerla in allegria. Perché "ogni giorno ha
purtroppo il suo affanno"!
.